N. 37 Ottobre 2005 | Le responsabilità europee del nuovo governo tedesco

La crisi dell’Unione europea diventerà irreversibile se non si riuscirà a distinguere il quadro in cui l’unità politica dell'Europa è ancora possibile da quello dell’Unione allargata. Non si tratta di agire per dividere l’Europa, bensì per porre le basi di un suo rilancio con tutti i paesi che vorranno.

L’Unione europea sta attraversando una crisi di cui non si deve sottovalutare la gravità. Questa crisi deriva dalla natura stessa dell’Unione che, così come è oggi, risponde al disegno di alcuni Stati membri di diluire la Comunità europea in un’area sempre meno integrata. Questo disegno è inconciliabile con il tentativo di rafforzare la coesione politica tra gli Stati membri e sta portando l’Europa alla paralisi. Oggi l’Unione allargata non è in grado di garantire un’area continentale di stabilità e di graduale integrazione, perché è profondamente eterogenea al proprio interno e non ha gli strumenti per colmare il divario tra i paesi membri e per creare le condizioni in cui possano maturare reali convergenze di interessi; né, tanto meno, può soddisfare le aspettative di governo economico e politico che in molte occasioni vengono riversate su di essa attribuendole competenze che, per potere essere assolte efficacemente in un quadro intergovernativo come l’attuale, presupporrebbero una forte unità di intenti. La conseguenza di tutto ciò sarà che la crisi dell’Unione europea diventerà irreversibile se non si riuscirà al più presto a distinguere il quadro in cui è ancora possibile prefiggersi di realizzare il progetto dell’unità politica dell’Europa da quello dell’Unione allargata in cui questo progetto non è più perseguibile.

Il ruolo di Francia e Germania è decisivo sotto questo profilo. Le classi politiche ed i governi francese e tedesco sono chiamati a compiere in tempi brevi una scelta netta tra una politica di sterile continuità ed una di coraggiosa discontinuità rispetto ai modi ed ai tempi per fare l’Europa, in un contesto reso difficile dalla crescente sfiducia popolare nei confronti dell’Unione europea. Essi potranno impedire che questa sfiducia si trasformi rapidamente in una aperta opposizione all’idea dell’unità europea tout court e nella rinascita del nazionalismo solo se sapranno abbandonare la retorica europeista che i cittadini hanno dimostrato di non essere più disposti ad accettare. Si tratta della retorica dei periodici e rituali annunci di nuove politiche europee in questo o quel campo, destinate a rimanere sulla carta, perché l’Unione non ha gli strumenti per realizzarle; oppure di quella che pretende che l’Unione sia indefinitamente riformabile e che possa ancora evolvere verso forme di più stretta unità attraverso piccoli escamotages di tipo istituzionale. Questa retorica giustifica il rinvio sine die del trasferimento della sovranità nazionale a livello europeo nei settori chiave che riguardano la politica estera, la difesa e la fiscalità, ed è grazie ad essa che il Primo Ministro britannico Tony Blair può al tempo stesso rivendicare il merito di essere il paladino del nuovo modello europeo e perseguire una politica che mantiene l’Europa continentale divisa e impotente.

Sul nuovo governo tedesco graverà una responsabilità particolare. La Germania, nel bene e nel male, da sempre condiziona l’evoluzione dei rapporti di forza fra gli Stati in Europa. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, come testimonianza dell’apertura di una nuova fase dei rapporti tra la Germania e gli altri paesi europei, fu iscritto nella Grundgesetz l’obiettivo della costruzione di un’Europa pacifica. All’indomani della riunificazione tedesca, quel principio venne ribadito e precisato: oggi, tra i fondatori delle prime Comunità, la Germania è l’unico paese che costituzionalmente dovrebbe promuovere “uno sviluppo dell’Unione europea fedele ai principi federali”. Tuttavia, con il cambiamento del quadro mondiale dopo la fine dell’ordine bipolare e di fronte all’evidente difficoltà di riformare in senso federale l’Unione, gli interessi nazionali e quelli europei della Germania hanno incominciato a divergere. Lo testimoniano il modo contraddittorio in cui sono state gestite le crisi nei Balcani, i rapporti con l’Europa centrale e orientale, la stessa lotta al terrorismo. Qualora questa normalizzazione in senso nazionaledella politica estera – in apparenza innocua e compatibile con la difesa degli interessi europei,ma in realtà a lungo andare distruttiva – dovesse consolidarsi in un paese cruciale come la Germania, sarebbe difficile contrastarne la diffusione ed il radicamento negli altri paesi, e diventerebbe impossibile arrestare la corsa verso la disgregazionedell’Europa.

Per la seconda volta negli ultimi quindici anni il futuro della Germania si intreccia con quello dell’Europa. All’indomani del crollo del muro di Berlino, la decisione di creare la moneta europea e di procedere all’allargamento ad Est dell’Unione europea fu il tentativo di costruire gli argini europei entro i quali le classi dirigenti francese e tedesca si illudevano di contenere la risorgente potenza della Germania. La crisi in cui si trova l’Europa oggi è il risultato di questo approccio che pretendeva di creare una moneta slegata da una effettiva politica economica e fiscale a livello europeo e di mantenere un quadro di sviluppo omogeneo dell’integrazione europea con un numero crescente di paesi. L’esito del referendum sul Trattato costituzionale europeo in Francia e il dibattito sui temi europei nel corso della campagna elettorale in Germania dimostrano che occorre costruire argini più solidi e duraturi, cioè occorre creare uno Stato europeo.

Per intraprendere questo cammino serve ormai un atto di discontinuità rispetto al recente passato. Un atto che in primo luogo la Germania e la Francia hanno la responsabilità di compiere e di proporre, nella consapevolezza che non si tratta di agire per dividere irrimediabilmente l’Europa, bensì per porre le basi di un suo rilancio con tutti i paesi che vorranno condividere questa impresa storica. In breve, per evitare la rovina la Germania e la Francia dovrebbero assumere al più presto un’iniziativa nell’ambito dei paesi fondatori per: 1) il rilancio della costruzione europea fuori dai Trattati esistenti; 2) un patto federale non negoziabile, attraverso il quale gli Stati disposti a farlo rinuncino irrevocabilmente alla sovranità in campo militare e nella politica estera; 3) la convocazione di un’Assemblea costituente da eleggere nell’ambito dei paesi che abbiano sottoscritto e ratificato il patto, con il mandato di redigere la costituzione dello Stato federale europeo.

Questo nucleo federale, cui potranno aderire successivamente i paesi membri dell’Unione che lo vorranno, dovrà negoziare con le istituzioni europee su quale base impostare e regolare i reciproci rapporti e potrà diventare l’ancora di salvezza dell’Unione. Distinguendo il destino ed il compito del progetto politico europeo da quelli della grande Unione, non solo si creeranno le premesse per l’affermazione storica del primo, ma si realizzeranno anche le condizioni per perseguire con successo e in modo duraturo quella stabilizzazione politica ed economica a livello continentale che l’attuale fragilità dell’Unione rende precaria. Dalla nascita in tempi brevi di questo nucleo federale dipende il futuro del nostro continente.

Publius

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