N. 34 Ottobre 2004 | Con il nuovo trattato-costituzione resta sconfitto l’europeismo comunitario

Comincia a manifestarsi da più parti la consapevolezza che l'europeismo comunitario ha esaurito la sua spinta evolutiva e che se si vuole evitare che il processo di unificazione europea fallisca, è necessario cambiare drasticamente rotta ed accettare l’inevitabilità di una forma di divorzio all’interno dell’Unione.

Dopo l’approvazione, da parte del Consiglio Europeo di Bruxelles, di un documento che porta il nome di costituzione, ma che di fatto non fa altro che formalizzare le divisioni che esistono all’interno dell’Unione, qualcuno ha affermato che nel vertice, e nel corso del processo che lo ha preceduto, si sono contrapposte una linea euroscettica e una linea federalista, e che la prima ha prevalso sulla seconda.

Si tratta di un’affermazione errata. In tutto il dibattito che ha portato alla “costituzione”, sia all’interno della convenzione che tra i governi, non si trova la minima traccia di una linea federalista, perché nessuno ha mai sostenuto la necessità di fondare uno Stato federale europeo. In realtà ciò che gli euroscettici hanno trovato di fronte a sé è stato soltanto l’europeismo comunitario, che non ha mai messo in questione la sovranità degli Stati e ha sempre ritenuto che la soluzione al problema dell’unità dell’Europa si riduca all’introduzione di alcune modifiche nelle regole di funzionamento delle istituzioni dell’Unione.

In teoria la linea euroscettica più avveduta, che Tony Blair, del resto, aveva in precedenza fatto propria, sarebbe stata quella di lasciar passare il testo approvato dalla convenzione e sostenuto dall’europeismo comunitario. Esso avrebbe lasciato le cose al punto di prima, ma avrebbe dato ampio spazio alla retorica europea e lasciato sul campo una serie di falsi obiettivi che sarebbero serviti per alimentare falsi dibattiti e per illudere l’opinione pubblica che il processo aveva ripreso il suo slancio: e quindi per rinviare di molto la presa di coscienza della natura reale della scelta di fronte alla quale l’Europa si trova.

Ma anche un uomo di governo accorto come Blair ha la sua opposizione e la sua opinione pubblica. Egli è stato quindi costretto a stravincere. In questo modo l’esercizio della retorica europea è stato reso assai più difficile e l’impossibilità di compiere graduali passi avanti istituzionali attraverso la realizzazione di un consenso tra i Venticinque più evidente. È così che, di fronte all’evidenza della crescente divisione dell’Europa, ha incominciato da più parti a manifestarsi la consapevolezza che, se si vuole che il processo di unificazione europea non fallisca definitivamente, è necessario cambiare drasticamente rotta ed accettare l’inevitabilità di una forma di divorzio all’interno dell’Unione.

Si tratta di una consapevolezza del tutto iniziale, che non è ancora in grado di comprendere né il problema sul quale il divorzio dovrà avvenire, né il quadro nel quale esso potrà prodursi, né infine il modo in cui esso si potrà attuare. Per questo è essenziale ribadire tre punti:

1)   Il problema sul quale il divorzio dovrà avvenire è quello della cessione della sovranità, cioè della nascita, all’interno dell’Europa, di uno Stato federale. Solo su questa base il processo di riunificazione dell’intera Europa potrà ripartire. Qualunque altra contrapposizione sarebbe soltanto un ulteriore sintomo della disgregazione dell’Unione.

2)   Il quadro nel quale si potrà manifestare la volontà di rinunciare alla sovranità nazionale e di staccarsi su questa base, anche se provvisoriamente, dal resto dell’Unione non potrà che essere quello dei sei paesi fondatori, o un quadro più ristretto, a cominciare da quello franco-tedesco, qualora qualcuno dei Sei non volesse in un primo tempo far parte dell’avanguardia.

3)   Il modo nel quale il divorzio si attuerà non potrà che essere quello della rottura, e quindi della denuncia, o della minaccia della denuncia, o dell’aperta violazione, dei trattati esistenti: e non certo l’adozione di un artificio giuridico – come le cooperazioni rafforzate o strutturate – grazie al quale un’ avanguardia possa nascere come risultato di una sorta di processo indolore che porti, senza interrompere la continuità, dall’esangue quadro confederale a venticinque ad un quadro federale più ristretto.

È tempo che la linea di divisione che nel recente passato ha opposto gli euroscettici dichiarati e gli europeisti comunitari venga sostituita da un’altra linea che opponga antieuropei – comunque denominati – e federalisti. L’europeismo comunitario non ha più nulla da dire. Esso non può che limitarsi a gestire l’esistente attestandosi su posizioni sempre più arretrate. Oggi essere europei significa soltanto battersi per uno Stato federale europeo, accettando tutte le conseguenze che questo obiettivo comporta.

Publius

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