N. 47 Marzo 2008 | Un potere nuovo in Europa per far fronte alla decadenza e alla disgregazione

La grave crisi politica ed economica in cui si trova l'Italia è l'aspetto più vistoso della generale involuzione della situazione europea alla quale gli europei possono far fronte solo riavviando il processo di integrazione europea su basi nuove.

La crisi politica ed economica che sta vivendo l’Italia è un segnale allarmante che riguarda tutti gli europei, e sarebbe un grave errore considerarla semplicemente alla stregua di uno dei tanti difficili e contraddittori momenti della pluridecennale rincorsa di questo paese nei confronti delle società più avanzate. Essa è soltanto l’aspetto più vistoso della generale involuzione della situazione europea, le cui radici affondano nel fatto che, nonostante oltre cinquant’anni di integrazione, l’Europa è ancora divisa, impotente e irresponsabile.

La politica, confinata nel quadro nazionale, non riesce ad affrontare le sfide poste dalla nuova situazione mondiale e non è in grado di garantire ai cittadini né la sicurezza, che dipende dalle decisioni della potenza americana i cui interessi – ormai da anni – non coincidono più con quelli europei, né un futuro di progresso. Le nostre società mostrano segni di decadenza e di disgregazione e l’evidente crisi della democrazia, se investe in particolare paesi come l’Italia – o come il Belgio –, non risparmia neanche la Francia e la Germania che vivono con crescente difficoltà il problema del consenso dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentanti. E, ciò che è più grave, la risposta che la politica cerca di dare a questa situazione non va nella direzione di porsi nell’ottica di creare un potere sovrano europeo, ma viceversa in quella di un ritorno a forme più o meno dichiarate di nazionalismo. Perfino i paesi fondatori, dalla cui collaborazione sono nate tutte le iniziative che hanno fatto avanzare il processo di integrazione europea fino alla creazione della moneta unica, si ritrovano oggi più che mai divisi e mossi da interessi divergenti. Lo testimoniano tra l’altro i crescenti motivi di tensione tra Francia e Germania e il fatto che le formule politiche con le quali un tempo si identificavano precisi obiettivi di sviluppo dell’integrazione europea, oggi suonano false e contraddittorie. Basti pensare al termine stesso di unione, che negli anni Settanta e Ottanta indicava un obiettivo considerato sinonimo di unione politica, e che adesso copre, sulle politiche più essenziali, una dis-unione di Stati.

Tutto ciò pone seriamente il problema della sopravvivenza stessa, nel medio periodo, dell’Unione. Si tratta di un rischio che le opinioni pubbliche e le classi politiche nei vari paesi tendono a sottovalutare, non rendendosi conto del ruolo giocato in passato dai fattori mondiali nel creare innanzitutto un quadro di pace e nel garantire poi stabilmente la sicurezza necessaria alla rinascita del continente. Senza la profonda comunanza di interessi, in campo economico e commerciale, della politica estera e militare fra le due sponde dell’Atlantico e fra le politiche nazionali dei due paesi chiave, Francia e Germania, non sarebbe stato possibile realizzare quanto è stato raggiunto in direzione di quella ever closer union among the peoples of Europe non a caso inscritta nei Trattati di Roma.

Sperare, pertanto, che attraverso riforme nazionali, sia che esse riguardino le costituzioni o le leggi elettorali, sia che investano il modello sociale, si possano superare i problemi che affliggono oggi gli Stati europei è una pericolosa illusione. Non perché queste riforme non siano necessarie per cercare di rispondere alle esigenze poste dalle grandi trasformazioni economiche e sociali che sono in atto, ma perché, se attuate in un contesto puramente nazionale, sono inevitabilmente inefficaci e non possono affrontare le cause profonde della crisi nè cercare di ridare slancio alla società con un credibile progetto per il futuro, e devono limitarsi ad una reazione difensiva per tamponare i problemi più urgenti. Solo superando l’ottica angusta del quadro nazionale, dunque, si può sperare di guarire i mali dei paesi europei. Ora, ciò non accadrà finché non si prenderà coscienza del fatto che il tempo dei piccoli passi per fare l’Europa è finito e che, per essere concreto e credibile, il rilancio europeo deve abbandonare la logica della riforma delle istituzioni dell’Unione a ventisette e quella della ricerca del consenso di tutti gli Stati membri.

Non è più neppure il tempo di promuovere cooperazioni rafforzate in settori specifici tra Stati che intendono conservare la propria sovranità nazionale, né di dar vita a nuovi direttori che inaspriscono le divisioni all’interno dell’Unione. Piuttosto si tratta di agire per spostare il quadro del potere e della lotta politica dalle nazioni all’Europa attraverso la creazione di una nuova sovranità europea, basata sul consenso dei cittadini di tutti quei paesi che accetteranno di unirsi in un nuovo Stato, che dovrà necessariamente avere caratteristiche federali. È in questa ottica che le forze politiche e sociali cui sta a cuore il destino dei rispettivi paesi possono e devono giocare un importante ruolo per orientare il dibattito, per farlo uscire dalle ambiguità e per spingere verso scelte coraggiose i governi e le istituzioni nazionali. D’altra parte appare con sempre maggior chiarezza che esse potranno giocare un simile ruolo solo nella misura in cui cominceranno a denunciare apertamente l’inganno in cui vivono gli europei, che consiste nel considerare come già fondato, e quindi semplicemente riformabile, un sistema di governo europeo. Sarebbe letale continuare a confondere – talvolta in modo subdolo per mantenere i poteri nazionali, talaltra in modo semplicemente inconsapevole e superficiale – l’attuale sistema europeo, più o meno complesso e interdipendente, ma ben ancorato alla cooperazione volontaria fra Stati nell’ambito delle istituzioni dell’Unione, con un effettivo sistema statale sopranazionale.

Per concludere, il maggior problema politico di fronte al quale si trovano oggi gli europei è quello di cercare di fondare un potere nuovo, cioè di creare uno Stato federale che, viste le contraddizioni esistenti in un’Europa a Ventisette e più paesi, inizialmente non potrà che nascere tra un numero limitato di Stati, a partire dai fondatori.

Anche se il governo italiano che si formerà dopo le elezioni faticherà – a causa della situazione di emergenza politica ed economica in cui si trova l’Italia – a trovare la forza e la credibilità necessarie per giocare un ruolo attivo nel promuovere (soprattutto nei confronti della Francia e della Germania) un simile rovesciamento del punto di vista sul futuro dell’Europa ciò non toglie che le forze politiche e l’opinione pubblica italiane debbano far proprio al più presto questo disegno e prepararsi a sostenerlo ogniqualvolta e ovunque si presenti l’occasione per farlo. Se spetta in primo luogo alla Francia e alla Germania dare un segnale nuovo in questa direzione, compito dell’Italia è infatti quello di sostenere, e dimostrare, la necessità e l’urgenza di un salto federale nel processo di integrazione europea.

Un ruolo, questo, che coincide sempre più con l’impegno a rilanciare la costruzione europea su basi democratiche attraverso la convocazione di un’Assemblea costituente, da eleggere in quei paesi che abbiano sottoscritto e ratificato un Patto per dar vita ad un’unione federale, con il mandato di redigere la costituzione del nascente Stato federale europeo aperto a quanti vorranno aderirvi. Il resto, purtroppo, è solo retorica europeista che non salverà i nostri Stati dal declino.

Publius

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