N. 12 Gennaio 2000 | Le scelte impossibili per uscire dall’impasse

Il processo di unificazione europea è giunto ad un’impasse da cui sarà possibile uscire solo con la scelta decisiva della federazione europea. Ma i governi non intendono rinunciare al dogma della sovranità nazionale e al metodo intergovernativo e con proposte come la modifica dell’art. 48 e il voto a maggioranza fanno solo il gioco delle forze sovraniste.

La nascita in Francia di uno schieramento trasversale che viene designato con il termine di “souverainiste” e che sta realizzando alleanze negli altri paesi dell’Unione dimostra che le forze contrarie all’unità politica dell’Europa si sono rese conto del fatto che, dopo la nascita dell’euro, il processo di unificazione europea è entrato in una fase cruciale, nella quale si pone il problema della sovranità. Esse sono quindi scese in campo con lucidità e determinazione per riaffermare che la sovranità è, e deve rimanere, una prerogativa degli Stati nazionali.

Per contro, le forze politiche che si dichiarano europeiste mancano sia di lucidità che di determinazione. Esse non hanno la capacità di vedere, né il coraggio di affermare, che il problema decisivo del nostro tempo è quello di trasferire la sovranità dal livello nazionale al livello continentale. Esse cercano di avvalorare l’idea che la sovranità sia una sorta di relitto del 19° secolo, una categoria che non serve più per interpretare la realtà del nostro tempo e per modificarla; e che l’unità politica dell’Europa sia un obiettivo dai contorni assai vaghi, che non comporta una trasformazione radicale come quella che un trasferimento della sovranità richiederebbe, ma che si sta realizzando attraverso impercettibili transizioni, e quasi senza che i governi e le forze politiche si accorgano di ciò che sta accadendo.

L’espediente forse più spesso suggerito per far l’Europa “di nascosto” è quello di una modifica dell’art. 48 del Trattato sull’Unione europea nel senso di rendere possibile una riforma dei Trattati con una decisione a maggioranza, nella speranza che, una volta abolito il diritto di veto dei governi dichiaratamente contrari all’unificazione politica dell’Europa, e approfittando di circostanze favorevoli, gli Stati più europeisti possano modificare progressivamente le strutture dell’Unione fino a farne qualcosa che somigli poco o tanto a una federazione. Ma la verità è che l’adozione di questo artificio da parte di tutti gli Stati membri dell’Unione è assai più improbabile di quanto non lo sia la prospettiva – già di per sé assai improbabile – di una decisione unanime di fondare la Federazione europea. Appare infatti assurdo che gli Stati membri, che in ipotesi non sono disposti a trasferire la loro sovranità ad un nuovo Stato pur avendo la possibilità di negoziare le condizioni alle quali il trasferimento avverrà, siano invece disposti a rinunziarvi a priori e “al buio”, ciascuno mettendosi nella condizione di subire le condizioni che gli saranno imposte da una maggioranza alla quale non appartiene.

La manifesta impraticabilità di questa proposta ne ha suggerita un’altra, più “realistica”. Si tratterebbe di raggruppare i Trattati in un unico testo e di dividere quest’ultimo in due parti: una di rilevanza costituzionale, per la cui modifica rimarrebbe in vigore il meccanismo del voto all’unanimità previsto dall’art.48, e una di rilevanza legislativa, che sarebbe invece modificabile a maggioranza.

Con questo espediente sarebbe aggirato l’ostacolo della sovranità. Ma il risultato sarebbe quello di ritornare al punto di partenza. È evidente infatti che l’individuazione delle materie di rilevanza costituzionale dovrebbe essere fatta con una decisione presa da una conferenza intergovernativa. E si può esser certi che in quella sede gli Stati membri inserirebbero tra le materie di rilevanza costituzionale – come tali ancora soggette al metodo intergovernativo – tutte quelle suscettibili di mettere in gioco la loro sovranità: e quindi la modifica delle istituzioni, la difesa, la fiscalità, il tetto del bilancio, ecc. Tutto verrebbe quindi cambiato perché tutto rimanga come prima.

Certo molti diranno che una riforma di questo genere aumenterebbe comunque il numero delle materie sulle quali il Consiglio delibererebbe a maggioranza e sulle quali quindi (presumibilmente) il Parlamento avrebbe il diritto di codecisione. Si tratterebbe quindi di un passo avanti. A costoro si deve obiettare che, con la moneta unica, l’epoca dei passi avanti si è definitivamente conclusa e che resta soltanto l’ultimo passo: quello che separa il mantenimento dell’unione attuale, basata sul metodo intergovernativo, dalla creazione di un potere democratico europeo, cioè dalla fondazione di uno Stato federale europeo. Negando questa realtà si porta soltanto acqua al mulino dei “souverainistes”, che hanno buon gioco nell’affermare che soltanto nel quadro degli attuali Stati nazionali è possibile garantire la sicurezza e il benessere dei cittadini e consentire loro di esercitare i propri diritti democratici.

Ma questa realtà deve essere riconosciuta con urgenza. Le sfide che attendono l’Unione sono imminenti e di enorme difficoltà . La prima sarà quella dell’allargamento. Di fronte ad essa, i governi nazionali stanno tentando di realizzare la quadratura del circolo. Essi si rendono conto che sarà impossibile governare un’Unione composta di un numero crescente di paesi sempre più eterogenei senza abbandonare il metodo intergovernativo. Né potrebbero ignorarlo perché il governo dell’Unione con il metodo intergovernativo è già di fatto praticamente impossibile con la compagine attuale. Ma nello stesso tempo essi rifiutano di mettere in discussione il dogma della sovranità nazionale, che è incompatibile con qualunque metodo decisionale che non sia intergovernativo, e in questo modo si invischiano nella ricerca di soluzioni impossibili. Il processo di unificazione europea è giunto quindi ad un’impasse decisiva. Da essa sarà possibile uscire soltanto con scelte decisive.

Publius

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