N. 24 Luglio 2002 | Perchè la Convenzione porti ad un reale cambiamento occorre dare spazio ai veri federalisti

Il cosiddetto fronte federalista nella Convenzione resta prigioniero del metodo comunitario e non mette in discussione il ruolo dominante che gli Stati oggi detengono nell’Unione Europea. Il metodo federalista, al contrario, si propone la creazione di un nuovo sistema decisionale di natura statuale, che abbia un collegamento diretto e reale con i cittadini.

Qualcuno sostiene che oggi in Europa – e in particolare all’interno della Convenzione – si stanno affrontando uno schieramento antifederalista ed uno federalista. Lo schieramento antifederalista sarebbe composto da coloro che vogliono rafforzare il ruolo del Consiglio Europeo e del Consiglio dei Ministri, accentuando il carattere intergovernativo dell’Unione. Lo schieramento federalista sarebbe invece composto da coloro che vogliono rafforzare il ruolo della Commissione. Lo schieramento federalista sarebbe quindi quello che vuole preservare il metodo comunitario, ed eventualmente potenziarlo, estendendolo a settori, come la politica estera e la difesa, che oggi ne sono esclusi.

Il fatto che si chiamino “federalisti” i sostenitori del metodo comunitario è il segno della degenerazione in corso nei rapporti all’interno dell’Unione, che si riflette nella degradazione del linguaggio di cui ci si serve per parlarne. La storia del processo di integrazione europea ha conosciuto una lunga fase – conclusa ormai da tempo – nella quale il metodo comunitario, bene o male, ha funzionato. Ma in quella fase nessuno avrebbe pensato di identificare il funzionalismo comunitario – cioè l’europeismo ufficiale – con il federalismo. Il federalismo, al contrario, si poneva come alternativa radicale rispetto alle Comunità e al loro meccanismo decisionale, che i federalisti, a incominciare da Spinelli, hanno sempre aspramente criticato. Il progetto federalista si caratterizzava in quanto perseguiva come proprio obiettivo il trasferimento della sovranità ad uno Stato federale europeo. Il progetto comunitario aveva invece lo scopo di perpetuare la sovranità nazionale, dando ai problemi di dimensione europea risposte precarie e parziali attraverso la collaborazione tra i governi.

Il metodo comunitario prevede che il potere esecutivo e buona parte del potere legislativo siano detenuti dal Consiglio, cioè dagli Stati membri; che la Commissione abbia soltanto la facoltà di fare proposte; e che il Parlamento disponga di una porzione scarsamente rilevante del potere legislativo e la sua attività sia comunque sempre subordinata, in un modo o nell’altro, alle decisioni del Consiglio. Il metodo comunitario configura quindi un meccanismo decisionale che è cambiato nel tempo, ma che ha sempre mantenuto come sua caratteristica il ruolo determinante dei governi nazionali nel processo di presa delle decisioni.

La Commissione, in particolare, ha potuto giocare in passato un ruolo propulsivo allorché, grazie ad una situazione internazionale favorevole e al piccolo numero degli Stati membri della Comunità, essa poteva agire come espressione di una forte, anche se provvisoria, convergenza degli interessi dei governi nazionali (senza con questo mai togliere a questi il loro ruolo di decisori effettivi). Ma oggi, in una situazione internazionale profondamente mutata e con un numero di Stati membri aumentato da sei a quindici, e domani a venticinque, essa è stata ridotta a svolgere di fatto soltanto la funzione di segretariato del Consiglio (oltre a quella di capro espiatorio, al quale gli Stati membri addossano la colpa di tutte le decisioni che essi stessi hanno preso, ma delle quali non vogliono assumersi la responsabilità di fronte ai propri elettori). Non a caso il commissario Barnier ha correttamente difeso la Commissione dall’accusa di voler accrescere il proprio potere nei confronti dei governi ricordando che la Commissione non ha di fatto, né ha mai pensato di rivendicare, alcun potere.

Il metodo comunitario quindi non è che una delle infinite possibili varianti del metodo intergovernativo, e identificarlo con il progetto federalista è frutto di un grossolano equivoco. Esso non deve essere esteso, perfezionato o rafforzato, ma semplicemente sostituito da un meccanismo decisionale di natura statuale. Il vero problema sul tappeto è in particolare quello di creare, nel quadro in cui questo è possibile, un governo che abbia un collegamento reale con i cittadini dell’Unione. Esso deve essere l’espressione del loro consenso, quale che sia il meccanismo (parlamentare, presidenziale, ecc.) attraverso il quale questa espressione si realizza; e deve avere, nell’ambito delle sue competenze, il potere di agire direttamente sugli individui, imponendo loro, con gli adeguati strumenti coercitivi, l’osservanza delle leggi federali e delle proprie decisioni.

L’attuale Unione Europea è più arretrata della Confederazione Americana, che aveva preceduto la Convenzione di Filadelfia, e dalle cui manifeste insufficienze era nata la consapevolezza della necessità di rifondare su nuove basi la convivenza tra le ex-colonie americane e i loro cittadini. La Confederazione infatti aveva la competenza della politica estera e della difesa e decideva a maggioranza su tutte le questioni (tranne la riforma del proprio statuto). Ma fu condannata alla paralisi dal fatto di dipendere per la propria esistenza dall’accordo tra gli Stati membri, che conservavano intatta la loro sovranità, e di non disporre del potere di imporre direttamente le proprie decisioni ai cittadini, ma di dipendere, per la loro esecuzione, dal buon volere dei governi delle ex-colonie, ai quali il Congresso poteva soltanto rivolgere raccomandazioni.

I padri fondatori ebbero allora la lungimiranza e il coraggio di elaborare e di proporre alla ratifica degli Stati un progetto radicale prima che gli Stati Uniti fossero sopraffatti dalle forze della disgregazione. Ai contrario, negli uomini di governo dell’Europa di oggi , impegnati soltanto a difendere i propri interessi nazionali – cioè il proprio potere – quella lungimiranza e quel coraggio sembrano assenti. Eppure anche in Europa la disgregazione e il caos sono alle porte.

Publius

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